Due settimane fa, la notizia della clamorosa sanzione ai danni di WhatsApp – rea di aver comunicato di nascosto informazioni dei propri utenti ad altre aziende – aveva riportato alla luce l’annoso problema legato alla sicurezza dei nostri dati all’interno delle società Big Tech.
Pochi giorni fa, il rilascio da parte di Facebook e Luxottica dei nuovi Ray-Ban Stories, gli occhiali intelligenti che possono fare foto e video, è stato accolto con entusiasmo dalla stampa nazionale, che ha qualificato il prodotto come prodigio di tecnologia e design, sorvolando sui problemi che potrebbe generare in termini di privacy.
L’apparente contraddizione tra le due notizie è giustificata dall’ingenuità che ancora osserviamo nei confronti del riconoscimento dell’importanza dei dati personali. Se da un lato avvertiamo la necessità di tutelare le nostre informazioni, dall’altro non resistiamo alla seduzione
dell’ultima novità tecnologica – che sia un paio di occhiali, un social o un’applicazione – dimenticandoci che (anche) i nostri dati sono il “prezzo” che non sappiamo di pagare per fruire di quel prodotto o servizio di tendenza.
Perché i dati personali sono così importanti?
“Data is the new Oil” – i dati sono il petrolio del futuro – erano le parole pronunciate dal matematico Clive Humby nell’ormai lontano 2006. Ma cosa significa?
Il ruolo dei dati, nella società moderna, è cruciale per una vasta gamma di attività. Si pensi, ad esempio, al settore del marketing: essere in possesso di una grande quantità di dati permette alle aziende pubblicitarie di ritagliare la propria comunicazione su misura dei consumatori. Oppure, si pensi alle AI – intelligenza artificiale – il cui sviluppo necessità di una grande quantità di dati. Infatti, i software di intelligenza artificiale vengono “addestrati” facendo processare loro un’ingente mole di dati, così da perfezionarne l’algoritmo al riconoscimento e all’utilizzo.
E sono proprio le informazioni che vengono raccolte, ad esempio durante la navigazione in Internet, a contribuire allo sviluppo delle potenzialità degli algoritmi. (Per avere contezza del grado di sofisticazione del processo di calcolo di questi software, è interessante il progetto europeo “How Normal Am I”, un sito in cui un algoritmo legge e prevede caratteristiche dell’utente con un’accuratezza sconvolgente).
Non si faccia l’errore di credere che quelle citate – che sono, ovviamente, solo alcune delle declinazioni per cui l’intelligenza artificiale viene utilizzata – siano attività che non hanno un impatto sulla nostra sfera di interesse. Ad esempio, l’impiego sempre più diffuso dei dispositivi IoT – di Internet of Things, cioè quegli oggetti intelligenti che hanno accesso ad Internet, come Alexa – è trainato proprio dai dati che immettiamo sul web.
È adesso chiaro che i dati svolgano veramente il ruolo di carburante nella società digitale degli algoritmi.
Da ciò deriva il riconoscimento sempre più esteso del valore economico del dato: l’attenzione a questa caratteristica è centrale nel dibattito circa il loro utilizzo.
Bisogna riconoscere che le informazioni sono, ad oggi, una merce di pregio. Gli attacchi hacker si orientano sempre di più verso il furto di dati e la successiva rivendita nel Dark Web; i colossi del Web sono più volti stati rimproverati di sorvolare troppo maliziosamente sull’importanza dei dati personali per le loro attività – si pensi, a tal proposito, la sentenza del Garante della concorrenza che ha imposto all’azienda di Mark
Zuckerberg di rimuovere lo slogan “Facebook è gratis e lo sarà sempre” dalla pagina di iscrizione, in quanto elusiva del riconoscimento dell’economicità dei dati raccolti dal social -.
A questo punto, l’interrogativo si sposta sul come proteggere le nostre informazioni, senza imbrigliarne la circolazione. Senza, cioè, impedire lo sviluppo tecnologico che ne deriva.
A questa domanda ha cercato di dare una risposta il legislatore europeo che, con il GDPR, il regolamento europeo per la protezione dei dati personali, ha avviato il percorso di realizzazione del Digital Single Market, o Mercato Unico Digitale. Una strategia che consente la libera circolazione di merci, persone, servizi e, appunto, dati.
L’obiettivo del GDPR è quello fare una sintesi delle due esigenze di protezione e tutela delle informazioni – che, ricordiamo, rappresenta un diritto fondamentale dell’uomo – e l’impiego dei dati per lo sviluppo tecnologico.
Questa sintesi si realizza con l’auspicata “libera circolazione sicura dei dati”, realizzabile solo attraverso un percorso volto a rendere gli utenti più consapevoli dell’importanza delle proprie informazioni.
E da qui, una provocazione, abbiamo davvero bisogno di occhiali che fanno foto o di una lampadina che si accende con un comando vocale, quando avremo capito come queste tecnologie sono state realizzate?
Daniele Dhoor Singh